Una casetta piccolina in Canada

Cronache da paesi lontani e vicini.
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Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

Questa è una storia di giovani, quattro giovani che il caso fece incontrare in una sala d’aeroporto in un pomeriggio uggioso di Montréal, in Canada, qualche anno fa.

Chi erano questi giovani?

Io, Beppe, diciassettenne,

Domenico, un ragazzo di Castelvetrano, 19 anni;

il Crucco, un biondo ragazzo canadese di 18 anni, e l’Ebete, 20 anni, di Napoli.

Tutto ciò che leggerete è rigorosamente vero fin nel più piccolo dettaglio. Se siete curiosi, vi domanderete certamente che cosa avvenne di così straordinario in quella sala d’aeroporto.

Bè, ve lo dico subito: niente di particolare, mi arrestarono e mi portarono in carcere.

Ma andiamo con ordine.
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

LA PARTENZA

Nel 1974 mio fratello Toti insieme alla moglie Antonella ed il figlioletto Giovanni, di neanche un anno, partirono per il Canada, destinazione Vancouver, nello stato del British Columbia. Il British Columbia si trova sulla costa Ovest dell’America del Nord, di fronte al Pacifico. E’ confinante a Sud con gli Stati Uniti (stato di Washington), mentre ad Est con l’Alberta ed a Nord con lo Yukon.

Toti, dopo la laurea in Fisica, a Palermo, aveva vinto una borsa di studio per ottenere il Master of Science al dipartimento di Informatica dell’UBC, University of British Columbia. Si era laureato con una tesi sugli automi cellulari con il Prof. Trautteur di Napoli ed adesso si apprestava a proseguire il suo cammino nel mondo accademico realizzando questa esperienza di ricerca universitaria di stampo anglosassone a Vancouver.

Toti ed i suoi familiari vivevano in una casa all’interno del campus dell’UBC. Un posto bellissimo con boschi, prati e ruscelli che attraversavano tutto il Campus, un enorme fetta di natura quasi incontaminata alla periferia nord-ovest della città a Point Grey, una penisola/promontorio abitata precedentemente dai nativi Haida (si potevano ammirare all'interno del campus alcuni antichi Totem, in parte traslati nel Museo Etnografico di Vancouver). Point Grey era diventata sede di un distaccamento delle Giubbe Rosse, le cui baracche furono lasciate all'Università. La casetta in Canada era una di queste baracche, probabilmente adibita agli uffici di comando. La casetta era piccola ma sufficientemente grande per ospitare amici e parenti e quando mio fratello, l’anno successivo, mi chiese di raggiungerlo in vacanza, ovviamente, accettai con entusiasmo.

I miei genitori, con altrettanto piacere acconsentirono la mia partenza. I prezzi dei viaggi aerei fino al Canada erano molto cari: non era l’epoca dei voli low-cost, ma comunque un’agenzia di viaggio trovò una buona combinazione per un Palermo - Vancouver A/R di circa 400.000 lire dell’epoca, cifra che comunque costituiva una buona fetta dello stipendio medio mensile di un impiegato. Il volo partiva il 30 maggio e per andare in Canada bisognava munirsi del visto rilasciato dall’ambasciata Canadese.

Al Consolato Canadese di Palermo ci danno però una pessima notizia. Non c’era il tempo necessario per spedire a Roma, all’ambasciata, la documentazione ed il successivo disbrigo della pratica. Mio padre doveva spostare il volo con un aggravio enorme sul costo del biglietto. Furono gli stessi funzionari del Consolato a proporci comunque una soluzione. Sarei partito senza Visto e poi direttamente in Canada avrei passato le procedure per ottenere i documenti necessari per rimanere in Canada tutta l’estate.

La mattina del 30 maggio del 1975, dall’aeroporto di Palermo di Punta Raisi, oggi Falcone-Borsellino, partìi alla volta del Canada. Era la prima volta che “prendevo” l’aereo. Ricordo il rombo potente e progressivo dei motori ed il momento in cui lasciammo la pista e l’aereo si alzò in volo.

Emozionante.

Dopo una lunghissima traversata e dopo avere fatto scalo tecnico in due diversi aeroporti, arrivai intorno alle ore 15 locali, all’aeroporto internazionale di Montréal, Canada.

<<Benvenuto in Canada!>> pensai, contento ed eccitato.


L'immagine dell'aeroporto di Montreal è tratta dal seguente SITO
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

I MANDOLINI DI MONTRÉAL

Scesi dall’aereo fummo incanalati verso un primo blocco di controllo. Preparai il passaporto e lo diedi alla guardia di frontiera. Era un tipo corpulento, sulla cinquantina, con una faccia grossa e folti baffi. Guardò con attenzione il passaporto, e bofonchiò: <<From Palermo, … Sicily …>> e poi con un risolino sprezzante disse: <<MAFFFIAAA!!>>

Rimasi sbigottito, ma solo per un attimo. Nonostante non sia mai stata una persona con il dono della risposta pronta e immediata, cosa che invidio a coloro dotati di tale capacità, in quel frangente la voce uscì immediatamente fuori. Mi ricordo solo la difficoltà di aprirmi ad un sorriso di scherno e di sfida. Quell’uomo mi aveva ferito.

<<Not only MAFFFIAAA …, but PIZZAAA and MANDOLINO too>> .

Sono sicuro che non capì affatto il sarcasmo ed il dileggio con cui avevo risposto, ma quando mi avviai verso il secondo controllo, sentivo ancora in bocca l’amaro che mi era rimasto. In realtà ero furibondo. Il grassone mi aveva offeso profondamente.

Al secondo controllo, dato che non avevo il Visto, mi fecero accomodare in una sala in attesa di un funzionario dell’Immigration Office che mi avrebbe rilasciato la documentazione necessaria dopo un accurato esame.

La porta si aprì ed entrò un ragazzo, capelli neri, pelle leggermente abbronzata, sguardo sveglio ed intelligente, simpatico.

<<Ciao>> esordì, <<mi chiamo Domenico e sono l’interprete ufficiale dell’Immigration Office dell’aeroporto di Montréal. Tra poco entrerà un funzionario e ti farà delle domande che io ti tradurrò >>.

Non lo sapevo ancora, ma in quell’istante conobbi quello che fu il mio angelo custode, la persona che mi fu vicina ed amica in quell’incredibile e strana avventura che stava per iniziare.

Dopo qualche istante entrò il Crucco.


L’immagine è estratta dal SITO
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

IL CRUCCO

Adesso mi spiace chiamarlo in questo modo offensivo. All’epoca era infatti soltanto un ragazzo.

Aveva solo qualche mese più di me ed era al suo primo giorno di lavoro. Era contento, particolarmente contento per quello che era successo qualche ora prima, ma di cui io non sapevo nulla. Capelli biondi e radi, sarebbe diventato completamente calvo di lì a pochi anni, faccia rotonda, aria di sufficienza ed espressione stupidamente soddisfatta.

Con piglio ed energia iniziò l’interrogatorio per il rilascio del Visto.

L’interrogatorio fu eseguito in modo così preciso, solerte e pedante, che se non si fosse concluso nella maniera con cui si concluse, avrebbe potuto dare spunto a degli effetti comici di notevole pregio.

<<Come si chiamano i tuoi genitori? >> Ok. Domanda legittima.

<<Sono mai stati in Canada o negli Stati Uniti? >> Curiosi, eh!

<<Come si chiamano i tuoi nonni paterni? >> I nonni paterni? Bah!

<<E quelli materni? >> Pure quelli materni volete sapere? Forse ho capito, volete fare la geneologia della mia famiglia?

<<Il cognome di tua nonna materna? >> il cognome? ma che ve frega?

<<Ma quando sono nati? >> (sempre i nonni!) Figurati se mi ricordo la data di nascita dei miei nonni! Ma rivolgetevi all’anagrafe di Castellammare del Golfo, perdio! E non rompete l’anima!

Dopo una caterva di domande, a mio parere, pedantemente ridicole, seguirono le domande più ovvie sui motivi per cui mi trovavo in Canada.

<<Sei venuto qui per lavorare? >>, <<No!>> risposi. << Sono venuto qui per turismo, per incontrare mio fratello ed i miei parenti. >>

<<Che cosa fa tuo fratello? >> … etc. etc.

Poi:
<<Cosa fai se ti offrono qualche lavoro? >>

<<Ottimo!>> risposi, <<qualche lavoretto non sarebbe male, così non gravo sulle spalle di mio fratello! >>

Silenzio.

Domenico mi guardò di sbieco, stava per dirmi qualcosa. Il Crucco se ne accorse e richiese subito la traduzione della mia risposta. Domenico tentennò all’inizio ma poi non si poté sottrarre.

Il Crucco si eccitò, non capivo, ma era entusiasta della mia risposta.

Quindi chiese conferma di ciò che avevo detto ed io, nonostante Domenico mi pregasse di negare, confermai.

Perché dovevo negare ciò che avevo dichiarato prima?
Per fare cambiare al Crucco quell'espressione soddisfatta stampata sul viso?
E poi cosa c’era di male in quello che avevo detto?

Mi sembrava una situazione grottesca e ridicola, degna di Kafka, di cui però ancora non avevo esperienza.

Domenico, sconsolato, tradusse la mia risposta.

Allora il Crucco, felice e soddisfatto, disse che ero un “illegal immigrant”. Non mi avrebbe rilasciato il Visto e che sarei stato rimpatriato prima possibile.

Allibii!!

Per la seconda volta la rabbia mi offuscò l’animo. La prima volta era una collera consumata internamente, la seconda volta, dato che come mio nonno Beppe disponevo e dispongo di una voce discretamente potente, mezzo aeroporto di Montréal sentì la mia pacata opinione sull’argomento.

Domenico cercava di calmarmi.

<<Stà tranquillo>> mi diceva, <<adesso cerchiamo di risolvere la situazione>>. Ma il Crucco non sentiva ragioni.

Nel mio passaporto era allegato il nulla-osta del servizio obbligatorio di leva. Il Crucco mi chiese cos’era e gli spiegai a che serviva. Era il documento che mi permetteva di lasciare l’Italia, valido sei mesi, rilasciato dal Distretto Militare di Palermo.

Il Crucco allora, con espressione ancora più soddisfatta mi disse che non solo ero venuto a lavorare in Canada, cosa vietatissima, ma che non volevo fare il Servizio Militare nel mio paese di origine, affermazione del tutto gratuita e priva di qualsiasi fondamento logico.

Gli risposi che era un perfetto idiota, che non aveva capito una beneamata m …. , cosa che Domenico si guardò bene dal tradurre. Nel frattempo arrivarono due guardie armate che, esaurite le trafile burocratiche, mi avrebbero condotto in prigione.

Così era stato deciso.


Immagine tratta dal SITO
(Si ringrazia il grande Bonvi! :) )
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DOMENICO

Erano circa le cinque del pomeriggio. Dopo un quarto d’ora sarebbe partito l’aereo per Vancouver e quando mi resi conto che non l’avrei preso, mi invase lo sconforto: per la prima volta qualcuno o qualcosa mi aveva privato della mia libertà di scelta e di azione. Sì, i miei genitori, la scuola, ti costringono a fare qualcosa che non vuoi o che non desideri, ma qui la situazione era diversa. Privazione della propria libertà individuale. E per giunta in un Paese Straniero.

Domenico mi seguiva come un’ombra. Ogni tanto faceva la spola tra l’Immigration Office e me, per tenermi aggiornato. Non tutto era perduto. In molti casi si applicava l’espulsione e l’immediato rimpatrio. Nel mio caso, invece, un tribunale mi avrebbe giudicato, e secondo Domenico, avevo buone possibilità di evitare la ripartenza per l’Italia.

Domenico si comportava con me come un vecchio amico. Aveva la parola giusta al momento giusto. Mi aveva raccontato che era emigrato in Canada insieme ai suoi genitori all’età di 14 anni. Era originario di Castelvetrano, aveva studiato con ottimi risultati a Montréal e per la sua eccellente conoscenza sia dell’inglese sia della sua lingua d’origine era stato assunto come traduttore dall’Immigration Office all’aeroporto di Montréal.

La differenza tra me e Domenico, nonostante ci separassero meno di due anni era la stessa differenza che passava tra un adolescente (io) ed un uomo. Domenico era un ragazzo speciale, un uomo speciale.
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Re: Una casetta piccolina in Canada

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LA PRIGIONE

Una jeep dell’I.O. mi portò in prigione mentre sentivo in lontananza il rumore di un aereo in decollo. Pensavo che probabilmente quello che sentivo era il mio aereo per Vancouver ed una parte della mia mente si proiettò idealmente all’interno di quell’apparecchio. Non mi sentivo in gran forma.

Il viaggio verso la prigione, con mia grande meraviglia fu brevissimo. La jeep si fermò davanti a quello che era un vecchio Hotel all’interno dell’area aereoportuale. Scortato da due militari armati salii al primo piano. La disposizione delle “celle” era quella standard di un hotel: un corridoio che si apriva ad un grande sala, in mezzo alla quale c’era una scrivania con dietro un militare. Di là si aprivano tre o quattro stanze. Con mia meraviglia queste stanze erano senza porte.

Mancavano le porte!

Ma al posto delle porte, ai lati, due militari con fucile mitragliatore imbracciato. Mi consegnarono i bagagli e mi fecero entrare in una di queste celle senza porta.


La foto è di Marcello Rabozzi/Pixabay.com
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Messaggio da Fraginesi »

L’EBETE

Per farvi capire bene ciò che successe è necessario spiegarvi com’era strutturata la stanza: uno stretto corridoio che portava dalla porta verso una finestra, rigorosamente munita di inferriata, e sulla sinistra si apriva la stanza con un letto matrimoniale. Non sbirciai il letto ma mi avviai dritto verso la finestra per guardare fuori.

Non so bene se sentii un rumore o semplicemente mi sentii osservato. Mi voltai e proprio nell’angolo più lontano e nascosto vidi un uomo!

Fui sorpreso, e feci quasi un balzo! Pensavo di essere solo.

L’espressione di quell’uomo mi colpì.

Avevo davanti a me l’Ebete.

Adesso vi spiego.

Era un ragazzo molto ben vestito, giacca e cravatta, vestiti di marca, non pacchiani ma sobriamente eleganti. Non capivo lo sguardo e l’espressione del ragazzo. Sembrava che guardasse un punto imprecisato davanti a sé. Quando mi vide non pronunciò parola.
Lo guardai bene. Era un bel ragazzo, aveva i tratti caratteristici di un italiano. Era vestito all’italiana.

Avanzai verso di lui e chiesi: <<sei italiano? >>

<<Sì>> mi rispose.

Io contento e felice di potere condividere le mie disgrazie con qualcuno, con la mia esuberanza in due secondi gli feci circa mille domande.

Ecco quello che uscì fuori: era di Napoli ed era arrivato la mattina a Montréal, anche lui senza visto. Gli avevano chiesto (mi spiegò che era stato proprio il Crucco a interrogarlo, cosa che successivamente Domenico mi confermò) perché era là e lui candidamente aveva risposto che scappava dall’Italia per non fare il servizio militare e che voleva emigrare in Canada …

Evidentemente era una giornata particolare: il mondo attorno a me andava alla rovescia.

Gli chiesi come mai gli era venuto in mente di dire quelle idiozie (tralasciando le idiozie che avevo detto io qualche ora prima). Lui mi rispose che era la verità. Quello che mi sconvolse completamente era la distanza tra ciò che diceva ed il suo atteggiamento. Parlava in perfetto italiano, senza alcuna inflessione dialettale. Discorsi sintatticamente coerenti e ben esposti ma assurdi nel significato. Cioè, mentre da un lato sembrava a prima vista una persona normale, intelligente, da un altro lato faceva discorsi sballati e privi di senso. Ma quello che più mi impressionava era lo sguardo. Faceva quasi paura: parlava lentamente con una espressione fissa priva di qualsiasi accenno emotivo. Nessun segno di vitalità sul suo volto. Un Ebete.

Adesso capii la soddisfazione e la contentezza del Crucco: nella sua prima giornata di lavoro era riuscito a beccare ben due polli, l’Ebete ed il sottoscritto. Ed adesso compresi perché mi aveva accusato di non volere fare il Servizio Militare in Italia: di tutta l’erba faceva un solo fascio. Un crucco, per l’appunto.

All’Ebete non era stato concesso il giudizio di un processo: l’indomani mattina alle sei sarebbe ripartito per l’Italia.

Smisi di parlare con lui. La mia contentezza di trovare un compagno con cui dividere il tempo in carcere era miseramente finita nell’impossibilità di instaurare un benché minimo dialogo. Ancora non riesco a capire come e perché si trovava in quello stato. Forse lo shock e l’angoscia di sapere che stava per tornare in Ita-lia oppure era così, era la sua normale condizione e natura. Mi faceva pena. Rimaneva in piedi, fermo ac-canto al letto, immobile, sguardo perso verso un orizzonte che vedeva soltanto lui.

Un soprammobile.
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Re: Una casetta piccolina in Canada

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LA DIFESA

Archiviata l’esperienza con l’Ebete, nonostante le Guardie mi avessero espressamente detto di non lasciare la stanza, uscii con nonchalance dalla cella chiedendo carta e penna. Un piccolo atto di ribellione; mi dovevo pur vendicare della detenzione!.

Avevo le idee chiare: da lì a qualche giorno avrei subìto un processo e quindi avrei scritto la mia difesa. Avevo deciso di scriverla in italiano e poi tradurla in inglese.

Già il mio inglese.

A scuola ero una mezza pippa, pensavo di meritare in media non più del 5 (esagerando!) ma la mia professoressa d’inglese, non so bene perché, mi aveva preso in simpatia e mi dava sempre, immeritatamente, la sufficienza.

Là, nonostante la mia inadeguatezza con la lingua, mi successe una cosa molto strana: avevo tanta adrenalina in corpo che capivo tutto o quasi. L’adrenalina aveva accentuato la mie facoltà di comprensione. Secondo me, non perché capivo bene l’inglese, bensì perché capivo cosa le persone mi dicevano, che è cosa diversa.

Quando uscì dalla stanza spavaldo ed accorto allo stesso tempo, i soldati di guardia alla porta mi urlarono dietro, ma io impassibile e con calma olimpica chiesi, in modo esageratamente educato, carta e penna come se nulla fosse (please, is it possible to have a pen and some paper?). Il militare dietro la scrivania fu comprensivo e mi diede ciò che chiedevo, rimproverandomi però di essere uscito dalla stanza.

Feci la mia migliore faccia da ebete. Adesso sapevo come farla.

E qui debbo fare una precisazione doverosa: fui sempre trattato bene, con gentilezza e senza alcuna durezza. La stanza era pulitissima ed i pasti che mi diedero erano sempre buoni ed abbondanti. Insomma, nonostante il Crucco, il Canada era (ed immagino sia ancora) un Paese Civile.

Avevo già telefonato a mio fratello spiegandogli la situazione e dicendogli di avvertire i nostri genitori che stavo bene e che tutto si sarebbe concluso positivamente.

<<Magari!>>, pensavo e speravo.

Passai la notte senza dormire. In un paio d’ore scrissi la difesa e la tradussi. Poi mi sdraiai sul letto tentando di prendere sonno. Ero sveglissimo. Il sonno ed io eravamo totalmente incompatibili.

L’Ebete subito dopo la breve conversazione, così vestito com’era si mise a letto. Io per fortuna non avevo ancora visto film sui serial killer, e quindi non mi preoccupai di quella strana e per certi versi inquietante presenza a pochi centimetri da me.

Verso le 5 del mattino lo vennero a prendere per rispedirlo in aereo in Italia. Mi sentii comunque rincuorato.

La carta e la penna erano serviti per scrivere la mia difesa. Questa era semplice, ovvia direi. Si articolava in due punti.

Per prima cosa, in Europa, Continente Civile, non come quella merda di America del Nord! (ma queste ultime parole non le scrissi, né sottolineai la maggiore Civiltà dell’Europa rispetto a quella del Canada) in estate, gli studenti sono soliti girare e passare le vacanze in Paesi stranieri dove per mantenersi e raggranellare qualche soldo fanno dei piccoli lavori, così come volevo fare io arrivando in Canada. Per noi Italiani-Europei è una cosa assolutamente normale!

Inoltre se avessi voluto veramente fare l’immigrato clandestino, dato che non mi ritengo uno stupido (bè, in verità affermazione un tantino esagerata, dato lo stato delle cose), non avrei certamente fatto alcuna dichiarazione su eventuali piccoli lavori che avrei voluto fare in Canada.

Quest’ultimo punto si poteva leggere anche in modo diverso: se avessi voluto fare l’immigrato clandestino, vi avrei fregato come e quando volevo!

Ero giovane.

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Re: Una casetta piccolina in Canada

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IL PROCESSO

La mattina dopo con mia grande sorpresa venne a trovarmi Domenico. Domenico aveva ottenuto dall’I.O. un pass per potermi venire a trovare in qualsiasi momento nel mio resort di lusso.

Io passavo da momenti con l’animo molto fiero e battagliero (pochi) a momenti di sconforto e di stanchezza (molti). Tra l’altro non mi riusciva proprio di prendere sonno. Domenico dopo avermi dato l’ennesima iniezione di ottimismo e fiducia se ne andò ed io ottenni il permesso di telefonare al consolato italiano. Parlai con un giovane ed antipatico funzionario che, inaspettatamente, mi venne a trovare il pomeriggio. Era un tipo brillante, sulla trentina, dinamico, un pò stronzetto, destinato, lo si gli leggeva in viso, ad una luminosa carriera diplomatica. Chiesi se poteva indicarmi un avvocato o se il consolato mi poteva dare una mano d’aiuto. Mi rispose che se avevo 1000 – 1500 dollari canadesi mi potevo permettere un avvocato o sennò, il consolato non poteva fare nulla (sic!). Io avevo 500 dollari che dovevo consegnare a mio fratello.

La decisione fu presa senza tentennamenti.

E poi avevo già un’ottima difesa.

Domenico mi venne a trovare tre volte quel giorno, e l’ultima fu per informarmi che l’indomani alle 8 del mattino si sarebbe tenuto il processo.

Finalmente!

Avevo vissuto fino allora con la mente proiettata verso il giorno e l’ora del processo. Era il momento nel quale si sarebbe messa la parola fine alla mia stramba ma soprattutto incomprensibile avventura canadese. O si rimaneva in Canada o si ritornava in Italia. Mi ero preparato al processo sin dai primi momenti passati in cella. Avevo scritto bene la difesa. Era corretta, plausibile, vera.

Ero pronto.

La notte non presi sonno.

In siciliano c’è un’espressione per indicare come passai la notte: con gli “occhi sbarrachiati”, cioè con gli occhi totalmente ed esageratamente aperti, sbarrachiati per l’appunto.

Alle 7.30 in punto arrivò Domenico. Mi aveva già avvertito che sarebbe stato lui l’interprete del processo.

Mi ricordo perfettamente il momento in cui entrai nell’aula del tribunale, ma non ricordo affatto, anche sforzandomi, come ci arrivai.

Prendemmo un mezzo e ci trasferimmo in un altro edificio?
Oppure l’aula era già approntata nell’Hotel Supramonte?

Non riesco a ricordare nulla di quel trasferimento. Solo un impressione di cammino. Camminavo. Vedo le mie scarpe che andavano avanti.

Indelebile invece il momento in cui entrai nell’Aula.

C’era una pesante tenda rossa, doppia tenda che prima mi avvolse e poi mi fece sbucare nell’aula. Piccolissima, tutta e completamente circondata da questa pesante tenda rosso amaranto. Uno scranno dove c’era il Giudice, una sedia ed un tavolino per l’Imputato ed alla destra un posto dove si piazzò Domenico.

Per prima cosa il Giudice disse che qualsiasi comunicazione doveva passare attraverso Domenico, che era il traduttore ufficiale della seduta. Non c’erano altre persone.

Io mi sentivo bene. Adrenalina al massimo.

All’inizio spiegai che avevo scritto una difesa e che volevo leggerla. Il Giudice acconsentì. La mia traduzione era inutile e parlai in italiano. Ero tranquillo. Apparentemente.

Alla fine della mia difesa il Giudice mi rivolge, ovviamente in inglese, una domanda.

<<Lei ha scritto la sua difesa dopo che ha parlato con suo fratello al telefono? E’ stato Lui ad indicarle cosa scrivere nella difesa?>>

Io avevo capito tutto. Parola per parola, anche le parole di cui non conoscevo il significato. Non aspettai la traduzione di Domenico ma mi alzai di scatto e dissi col mio miglior inglese (non so come ma riuscivo pure a parlare in inglese velocemente) e con un tono di voce un poco al di sopra del normale, praticamente gridavo, che la difesa era frutto della mia personale esperienza e che non era necessario mio fratello per raccontare quella che era la verità!

Ero passato da un apparente tranquillità ad una rabbia nera ma più controllata di come appariva all’esterno. Ciò che mi aveva provocato lo scatto d'ira era l’insinuazione subdola e meschina che qualcuno mi avesse suggerito la linea di difesa svalutando così le mie ragioni.

Ricordo ancora l’urlo che il Giudice mi riservò, ottenendo il mio plauso per la sua altrettanta potenza vocale, molto simile alla mia.

Lo SCIARAAAPPPP!!! (shut-up) che mi gridò rimbomba ancora nella mia testa.

Domenico mi disse di sedermi, cosa che feci immediatamente, dopo di chè mi sorbii la ramanzina del Giudice sul fatto che non dovevo parlare in inglese ma solo in italiano e solo se sollecitato. Mi stetti buono ed anche il Giudice si acquietò.

Nonostante tutto, nonostante avessi fatto incazzare il Giudice, ero convinto, e lo sono ancora tuttora, che avevo vinto il match, avevo rovesciato metaforicamente il tavolo e se il Giudice fosse stato onesto, avrebbe riconosciuto la mia buona fede.

Il processo durò una mezzora, forse 40 minuti. Ritornai in cella.

Domenico doveva andare in aeroporto e mi salutò.


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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

AMICIZIA

Intorno a mezzogiorno Domenico si catapultò felice nella mia cella.

<<Presto! Sbrigati!>> mi disse allegramente.

<<Prima di prendere l’aereo per Vancouver ti faccio fare un giro per Montréal e mangiamo insieme!>>

Il suo sorriso si dispiegava a 180 gradi!

Ero libero!

Il Giudice aveva rigettato l’istanza dell’I.O. e mi aveva concesso un visto turistico di due mesi. Il passaporto mi era stato sequestrato ed al suo posto mi avevano dato un documento sostitutivo che avrei dovuto esporre in caso di richiesta da parte delle Autorità. Dovevo rientrare a Montréal entro il 30 luglio e presentarmi all’I.O. per riprendermi il passaporto e ripartire tassativamente per l’Italia. Se non l’avessi fatto avrei dovuto pagare una multa di 1000 dollari.

Domenico mi venne a prendere con la sua auto e ricordo molto vagamente il giro che facemmo a Montréal, nella city con i suoi alti grattacieli. Ero intontito. Ormai erano più di due giorni che non dormivo. Dopo il primo momento di euforia per la bella notizia, mi ritrovai stanco e completamente svuotato. Un barattolo vuoto.

Domenico mi invitò a pranzo a casa sua con suo padre e sua madre ed i fratelli piccoli. Gran brava gente!

Ho un gran bel ricordo di Domenico.

Quando mi riaccompagnò in aeroporto ci abbracciammo.

Mi trascinavo come uno zombie nell’aeroporto vagando stordito tra le folle di persone che si accalcavano nei gate aspettando di partire. Oltre che a fiondarmi al mio gate, avevo solo un unico pensiero: dormire! Ero stanchissimo ed avevo bisogno di un sonno ristoratore e salutare.

Alle 17.15 in punto partì l’aereo per Vancouver. Mi aspettavano più di 5 ore di viaggio.

Fantastico, pensai. Avrei dormito 5 ore filate rimettendomi così in forma.

Col cavolo! Non riuscivo a prendere sonno.

Chiudevo gli occhi; mi sforzavo di tenerli chiusi e poi mi si aprivano da soli come in un meccanismo a scatto mentre il ronzio di sottofondo dei motori si insinuava nelle mie orecchie ed il mio collo cercava la posizione migliore per dormire.

Ero uno zombie incapace di addormentarsi.

Poco dopo mezzanotte arrivai finalmente nella casetta piccolina in Canada. Bè finalmente potevo dormire su un vero letto, anziché su una scomoda poltrona d’aereo.

Dormii, forse 2-3 ore, malamente; molto malamente.
Il sonno era agitato, confuso, mi svegliavo e poi ripiombavo in una specie di dormiveglia dove pensieri senza senso si intrecciavano caoticamente in maniera vaga ed incoerente.

La mattina mi ritrovai con 38 di febbre. Lo stress nervoso.

Ero arrivato zombie, e continuavo ad essere uno zombie.

Era la mattina del 2 Giugno del 1975.

BENVENUTO IN CANADA! pensai con sarcasmo.
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Fraginesi
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

NOTE A CORREDO

VANCOUVER

I miei due mesi passati a Vancouver furono due mesi stupendi dove vidi ed imparai un mucchio di cose. Una natura prorompente e per molti versi incontaminata, la struttura delle città, così diversa dalle nostre, dove non esistevano condominii, ma solo villette autonome con giardinetto. I centri delle città, le cities, con enormi e modernissimi palazzi che svettavano verso il cielo. E poi i nativi Haida, con la loro grande ed antica cultura; i disegni ed i dipinti rituali, i totem, le ricostruzioni degli antichi villaggi.

Ricordo i ristoranti cinesi, i più economici, dove andavamo a mangiare qualche sera risparmiando così ad Antonella l’onere di cucinare ad una torva di affamati dato che si divideva incessantemente fra noi ed i due figlioletti, Giovanni e la piccolissima Marta, che era nata proprio a Vancouver. Andavamo spesso in un piccolo locale all’interno del campus dove con meno di due dollari canadesi ti rimpinzavi di riso cantonese, pollo alle mandorle ed altre specialità cinesi. Era la prima volta che mangiavo cibo “straniero”. In Italia all’epoca forse ce n’era qualcuno nelle grandi città come Roma o Milano, ma non ne sono sicuro. Ma non solo quelli: un mondo gastronomico, a me sconosciuto, si apriva quando andavamo nei ristoranti più esotici come ad esempio quello tipico dei nativi. Ricordo ancora il pesce cotto a vapore condito con un olio particolare e accompagnato con un pane caldo dall’odore e sapore eccezionali.

Un’altra curiosità che ricordo era costituita dai prezzi variabili, ovvero il prezzo di una mercanzia variava al variare della giornata. Cosa mai vista in Italia. Per esempio, il pane, comprato la sera costava meno della metà del pane comprato la mattina, e così anche per tanti altri generi alimentari. Mi sembrava assurdo, ma in realtà aveva una sua ragione e, soprattutto per chi doveva sbarcare il lunario con pochi soldi, era una cosa vantaggiosa.

Ma un’altra cosa mi impressionò: le persone lasciavano le porte aperte, o le chiavi della macchina nel cruscotto. Passeggiando per Vancouver vedevi per strada dei contenitori con i quotidiani. Prendevi il giornale e lasciavi i soldi in una fessura, una specie di salvadanaio. Nessuno controllava.

Ma quello che mi colpiva di più erano gli spazi: grandi, enormi, panorami infiniti. Era tutto più grande. Fuori scala: dalle strade alle automobili, dai palazzi alle montagne, dai giardini ai fiumi.

ILLEGAL IMMIGRANT

A Vancouver feci molti piccoli lavori, come del resto erano soliti fare e come fanno ancora adesso gli studenti europei in trasferta in altri Paesi Europei.

Soprattutto nella comunità degli studenti e dei professori, all’interno del campus dell’UBC, lavai qualche auto e feci molte volte il baby-sitter notturno.

Molto interessante quest’ultimo lavoro per il quale, non facendo assolutamente nulla, si riusciva a guadagnare un botto di dollari canadesi!
Bè, lo debbo proprio dire, … ALLA FACCIA DEL CRUCCO! :)


Palermo, 21 gennaio 2018

Una nota: in un paio o più di occasioni ho utilizzato un linguaggio, un tono ed espressioni non propriamente educatissime, anche se nella vita reale sono, nella stragrande maggioranza, la norma. Le ho lasciate così perché rendono vive e vere le scene e le atmosfere descritte.

Ciao
Beppe :bye:
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da maria grazia »

Che vicenda da cardiopalma! al posto tuo sarei morta di spavento, hai avuto un coraggio da vendere, ottimo resoconto ed esempio di come ci si sente ad essere immigrati clandestini, in un certo senso; mi ha fatto venire in mente, anche se non del tutto attinente, il libro "mare nero" dove una persona è completamente in balia di altri con potere, spesso ottusi e mal pensanti. Fortuna che hai incontrato Domenico e che tutto è finito bene! In tutta onestà anch'io, prima di conoscere Sicilia e Siciliani, pensavo immediatamente a Sicilia= Mafia, ora non più, anche grazie a te, devo dire, ciao!! mg :applauso:
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

Ciao Maria Grazia,
paura no, ma tanta rabbia sì. Era una palese ingiustizia e non mi andava proprio di ritornare in Italia dopo che i miei avevano speso tanti soldi per mandarmi in Canada. Sicuramente, come dici, non è attinente fare un paragone con quei poveri immigrati che arrivano da noi. Io, in loro confronto, ero trattato con i guanti bianchi ...

Ciao
beppe :bye:

P.S.: ... e per fortuna che mi hai conosciuto! sennò continuavi a vivere con questi stupidi pregiudizi sui siciliani! ;)
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da carlo cibei »

Che storia!
Sei stato fortunato Beppe a incontrare una persona disponibile e sensata come Domenico.
Ma poi sei rimasto in contatto con lui?
:bye:
carlo
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da maria grazia »

Fraginesi ha scritto: 15 gen 2018, 11:01 Ciao Maria Grazia,
paura no, ma tanta rabbia sì. Era una palese ingiustizia e non mi andava proprio di ritornare in Italia dopo che i miei avevano speso tanti soldi per mandarmi in Canada. Sicuramente, come dici, non è attinente fare un paragone con quei poveri immigrati che arrivano da noi. Io, in loro confronto, ero trattato con i guanti bianchi ...
P.S.: ... e per fortuna che mi hai conosciuto! sennò continuavi a vivere con questi stupidi pregiudizi sui siciliani! ;)
Ciao Beppe, in effetti la rabbia esplode soprattutto se vedi che, oltre a te, vengono colpite altre persone, allora davvero uno la forza la trova, come l'hai trovata tu.
Per i pregiudizi, mi erano già passati con un collega siciliano gran lavoratore e visitando la Sicilia, parlando con la gente comune. Tieni presente che, essendo nata e vissuta in Veneto, ero davvero piena di pregiudizi, non solo nei confronti dei Siciliani, ma di tutta la gente sotto il Po, e questo in virtù dell'educazione che avevo ricevuto. C'è da riflettere.
Ciao!! mg
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Servodio »

Una bella storia (col senno di poi), me la sono letta con piacere (scrivi molto bene).

Ciao Beppe.

Sergio :bye:
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

carlo cibei ha scritto: 15 gen 2018, 12:46 Che storia!
Sei stato fortunato Beppe a incontrare una persona disponibile e sensata come Domenico.
Ma poi sei rimasto in contatto con lui?
:bye:
carlo
Sono rimasto in contatto solo per poco tempo.
Le cose della vita, soprattutto per un ragazzino com'ero io, vanno avanti senza soffermarsi troppo nel passato.

Di Domenico ricordo soprattutto la faccia allegra mentre, guidando la sua auto, un macchinone che non finiva più, comprata di quarta o quinta mano per pochi dollari :D, mi conduceva per le strade di Montreal.

Grazie Sergio!

Ciao
Beppe :bye:
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da AleAle »

Bellissima storia!
E' con queste dis-avventure che si cresce e ci si misura col mondo.
:applauso: :applauso: :applauso:
Ale
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Daniela Longo »

Il racconto di Beppe mi ha fatto venire in mente qualcosa di molto simile, sia pure con un'evoluzione più rapida, ma, forse, con ancora maggiore suspence, che mi è successa in uno dei miei numerosi viaggi negli Stati Uniti.

Per una quindicina di anni ho fatto una capatina a Los Angeles un paio di volte all'anno, spesso di 4-5 giorni, ma un paio di volte di un mese. Non serviva il visto ma occorreva compilare un questionario in cui si doveva dichiarare che non avevi mai rapito bambini statunitensi, che non portavi eroina o coca con te e che non eri stato in una fattoria nell'ultima settimana(!) :D
Il visto ottenuto al controllo doganale era un pezzo di cartoncino verde opportunamente timbrato che veniva spillato al tuo passaporto e che valeva 3 mesi. Al ritorno la compagnia aerea si faceva carico di raccogliere i cartoncini e di inviarli all'ufficio immigrazione per confermare la partenza e l'uscita dagli Stati Uniti.

In una delle mie visite, avvenuta circa 4 mesi dopo la precedente, sono arrivata di fronte alla guardia di frontiera, un nero enorme e grassissimo che, dopo aver guardato il passaporto e digitato qualcosa sul computer, senza farmi alcuna domanda mi ha detto: "Vedi quella linea blu per terra oltre il varco? Seguila, senza rivolgere la parola a nessuno e senza cercare di contattare nessuno, fin quando finisce." Di fronte alle mie richieste di chiarimenti, la risposta è stata identica a quella del giudice di Beppe: "SHUT UP!!!"

Ho seguito la linea blu senza voltarmi indietro dove c'erano i due miei colleghi compagni di viaggio ed sono arrivata in un'area separata alla vista da un muro e piena di persone e di bagagli, con bambini che piangevano, gente seduta ovunque che mangiava e beveva cibi e bevade prelevate da numerose macchinette automatiche.
Per fortuna i miei colleghi avevano visto la scena; si sono recati al banco Alitalia (compagnia con cui avevamo viaggiato) e dopo una buona ora di attesa un membro dello staff Alitalia è venuto a cercarmi dandomi, almeno, una spiegazione di quanto successo: io non risultavo uscita dagli Stati Uniti dopo il mio ingresso di 4 mesi prima e quindi, nonostante provenissi dall'Italia, risultavo un'immigrata clandestina!!! Mi ha consigliato di verificare se in borsa avessi per caso uno scontrino fiscale rilasciato in Italia successivamente alla mia precedente venuta negli USA come dimostrazione della mia permanenza in Italia (dico: non bastava essere scesa da un aereo che aveva lasciato Roma 14 ore prima!! :shock: ).

L'attesa nella zona riservata agli immigrati "non desiderati" è durata 6 ore che, dopo un viaggio di 16 ore, mi sono sembrate le più lunghe della mia vita. Poi, grazie, per fortuna, ad uno scontrino di un caffè preso in aeroporto a Roma, sono stata rilasciata.

Morale: non dimenticate di farvi rilasciare lo scontrino del caffè; potrebbe servirvi!! ;)

Gli statunitensi sono molto meno ospitali dei canadesi e, sicuramente, molto più ottusi!!!
Evviva la Pizza e il Mandolino!!!

Daniela
... vediamo un po’ come fiorisci,
come ti apri, di che colore hai i petali,
quanti pistilli hai, che trucchi usi
per spargere il tuo polline e ripeterti,
se hai fioritura languida o violenta,
che portamento prendi, dove inclini,
... (Patrizia Cavalli)
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

Questa storia di Daniela, sarà stata sicuramente più rapida, ma per quanto riguarda il livello di ottusità, sicuramente inarrivabile.
Ancora non ci credo: lo scontrino del caffè, sì, lo sbarco dall'aereo, ed il biglietto aereo non valevano come prova!
Bah!
Burocrazia americana ... !!! :shock:

ciao
Beppe :bye:
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Anja »

Un racconto bellissimo, emozionante! Beppe, tu davvero scrivi molto, ma molto bene! Ho letto tutto con fiato sospeso, come un thriller. :D
:applauso: :applauso: :applauso:
:bye: anja
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da gianleonardo »

Caro Beppe,
il tuo racconto mi ha molto coinvolto, non solo perchè, come ci hai abituato, è molto ben scritto, ma perchè Montréal ed il Canada sono dei luoghi per me molto familiari. Mia madre è nata proprio a Montréal, nel Québec e lì ho tanti parenti di lingua francese. Ci vado molto spesso e conosco molto bene i due aeroporti della città. Dalla data del tuo viaggio, sembra che la tua avventura si sia svolta nell’aeroporto di Dorval, oggi Pierre Elliott Trudeau. Nell’ottobre del 1975 fu inaugurato infatti l’aeroporto di Mirabel, lontanissimo dalla città, che sostituì Dorval per i voli internazionali ed è lì che arrivai per la prima volta in Canada, probabilmente un anno dopo di te. Poi Mirabel è stato abbandonato, perchè troppo lontano dalla città e Dorval è ritornato ad essere l’aeroporto principale della città. Quanto ad avventure in quell’aeroporto anche io non me le sono fatte mancare. Nel giugno 2013 ero a bordo del volo Swiss 087 Montréal-Zurich. L’aereo era in fase di taxiing dalla porta d’imbarco alla pista di decollo. Un aereo nuovo, immatricolato due mesi prima. All’improvviso l’apparecchio iniziò a saltellare, pur rimanendo fermo. Un terremoto non poteva essere, ma non si riusciva a capire perchè l’aereo si fosse messo a balzare sulla pista e poi si fosse bloccato.
Dall’equipaggio totale silenzio per diversi, lunghissimi minuti. Io ero molto insospettito, ma la maggior parte dei passeggeri se ne stava tranquilla, in attesa che l’aereo ripartisse.
E invece, dopo un po’, il comandante, con voce imbarazzatissima e lugubre (carriera compromessa ?) annunciò che, per motivi non dipendenti dalla Compagnia (?), il volo doveva essere annullato e che tutti i passeggeri dovevano scendere dall’aereo. Caos, sgomento, rabbia. Ma nessuno capiva il motivo dell’annullamento del volo. Solo scendendo dall’aereo, scortati dai pompieri, ci rendemmo conto di quello che era accaduto. L’ala destra dell’Airbus aveva colpito in pieno un grosso mezzo parcheggiato sulla pista, per fortuna con nessuna persona a bordo. L’estremità dell’ala era attorcigliata ed incastrata nel mezzo. Un incidente aereo assurdo, per fortuna accaduto a terra ed a bassa velocità.
Senza nessun tipo di assistenza da parte della Compagnia, fummo invitati a passare proprio per il "tuo" Immigration Office, come se fossimo passeggeri in arrivo in Canada e non in partenza. Dovemmo recuperare i nostri bagagli al nastro ed andare all’area partenza dove un’unica impiegata della Compagnia dovette trovare voli alternativi a centinaia di persone urlanti, tra cui il sottoscritto.
Molti decisero, per stanchezza, di passare la notte all’albergo dell’aeroporto a spese della Compagnia. Io invece sgomitai nella ressa della fila davanti all’unica impiegata e, dopo alcune ore, ottenni l’imbarco su un volo British via Londra. Cose che si imparano in Italia.
Questo per quanto riguarda le disavventure, per il resto ho solo bellissimi ricordi di Montréal, dove ho trascorso un anno della mia vita dopo la maturità conseguita in Italia. Avevo deciso di vivere lì ed ero riuscito a farmi ammettere alla Mc Gill University, ma i miei genitori decisero di rimpatriarmi.
Ed eccomi qui, dopo 36 anni, a raccontare anche io questa storia.
Vancouver ? Ci sono andato molti anni dopo, in vacanza. Città bellissima, immersa in uno scenario naturale stupendo. A proposito, Vancouver si trova sulla costa ovest dell’America del Nord. E’ la città più grande ed importante della provincia canadese della Colombia Britannica, che però ha la sua capitale in Victoria, la città più « britannica » dell’America del Nord.
Grazie, Beppe, per aver raccontato questa tua esperienza. Mi hai fatto rivivere e rivedere luoghi, persone e stuazioni che ben conosco, ma dal punto di vista di un ragazzo palermitano diciassettenne al suo primo volo oltreoceano.

:bye: da Gianleonardo
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Garabombo »

e allora un deferente omaggio a vecchie glorie musicali locali, visto che sono state citate le località:

Leonard Cohen da Montreal
D.O.A. da Vancouver
NoMeansNo da Victoria

;)
C.
"Io sono un filo d'erba / un filo d'erba che trema /E la mia Patria è dove l'erba trema.
Un alito può trapiantare / il mio seme lontano
"
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Re: Una casetta piccolina in Canada

Messaggio da Fraginesi »

gianleonardo ha scritto: 17 gen 2018, 00:51 ...
Vancouver ? Ci sono andato molti anni dopo, in vacanza. Città bellissima, immersa in uno scenario naturale stupendo. A proposito, Vancouver si trova sulla costa ovest dell’America del Nord.
...
:bye: da Gianleonardo
Grazie per avermi fatto correggere le "coordinate geografiche" di Vancouver ... (avevo scritto che si trova ad est ... :vecchio: ).
Vedo che avventure da raccontare ne abbiamo parecchie ... ;)

Grazie a Anja ed a Cristiano per l'imbeccata musicale ;)

Ciao
Beppe :bye:
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